top of page
Cerca

Terra bruciata

  • Immagine del redattore: Daniele Benussi
    Daniele Benussi
  • 25 lug 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 9 gen 2024


Racconto liberamente ispirato dall'immagine qui sopra


Tu non sai che gioia è ritrovarti, figlio mio. Ho la voce rotta in due dal pianto, ma voglio dirti che i passi che hai fatto ti hanno portato nel punto giusto. Stai guardando verso quelle case abbandonate, proprio come me in quel pomeriggio d’inferno. E allora lascia che ti racconti, perché sei pronto per capire in quale mondo vivi.


Sono passati tanti anni quanti quelli che tu hai vissuto.

Avevo appena chiuso il negozio e come ogni giorno rientravo a casa per pranzare con tua madre. Da qualche mese, poi, era più bello farlo. Sì, perché ad aspettarmi avevi iniziato ad esserci anche tu con lei: saresti nato di lì a poco e già avevi iniziato a cambiarci la vita.

Camminavo verso casa quando mi fermò un uomo che non avevo mai visto. Mi disse di salire in macchina con lui, ché aveva due cose da dirmi. Capii subito. Ancora di più quando aprendo la portiera trovai Michelino seduto sui sedili posteriori. Incrociammo i nostri sguardi. Non dissi nulla, provai a mostrare dignità. Si chiusero le portiere. L’uomo, con voce grassa e impastata di fumo, mi chiese come mai da venti giorni Michelino usciva a mani vuote dal mio negozio. La risposta già la sapeva: tua madre aveva smesso di lavorare per badare alla gravidanza e io avevo deciso di risparmiare, correndo un rischio di cui a lei non dissi mai niente. Avevo le mie ragioni di futuro padre, e a Michelino glielo ripetevo tutti i martedì quando passava a riscuotere: ci doveva essere un po’ di pietà almeno per chi aspettava una creatura. Lui mi voleva anche bene ormai, ma dai suoi sguardi bassi e grigi capivo che chi lo mandava, di pietà non ne aveva mai avuta per nessuno.

Pensai che a quella domanda era inutile rispondere, così stetti zitto, e la macchina partì.

Io guardavo perlopiù fuori dal finestrino per orientarmi, ma ogni tanto sbirciavo verso Michelino sperando in un suo gesto rassicurante. Niente: il suo sguardo si abbassava come quello di un cane randagio. Capii che avrebbe voluto abbracciarmi o stringermi una mano, ma che ovviamente non poteva farlo. Mi fece tanta tenerezza quanta io dovetti farne a lui.

La paura iniziò a inghiottirmi il cuore quando l’asfalto si tramutò in sterrato e la strada si fece stretta. Non c’erano più vite umane intorno a noi. Soltanto natura disidratata e bruciata fino all’osso. Dai finestrini entrava aria infernale che come lava mi ribolliva nei polmoni, mentre nelle mani e nei piedi sentivo brividi freddi. Per un attimo pensai al piatto pieno che tua madre doveva aver già messo in tavola per me. La immaginai affacciarsi alla finestra chiedendosi dove fossi, dato che di strada da fare ne avevo poca e non facevo mai tardi. La immaginai venirmi a cercare preoccupata, lasciando la tavola apparecchiata e la minestra nelle ciotole a farsi fredda.

Cominciai a tremare.

Poi la macchina si fermò. Proprio un passo dietro a dove sei tu ora, figlio mio. L’uomo scese, si guardò intorno e poi fece scendere anche me e Michelino. A lui mise in mano una pistola e lo fece posizionare spalle alla macchina, esattamente nel punto in cui ti trovi tu. Io ero lì accanto, ormai incapace di formulare pensieri.

Si sentirono sei spari quel pomeriggio, figlio mio.

I cinque buchi che vedi su quel palo di fronte a te li fecero i primi cinque proiettili sparati da Michelino: i due più in alto sono quelli dei primi spari, in cui Michelino non riuscì a gestire il rinculo dell’arma. Coi tre che vedi più in basso invece dimostrò di aver capito come sparare ad altezza uomo.

Il buco del sesto sparo non puoi vederlo figlio mio. Davanti a quel palo avevano messo me.



 
 
 

Post recenti

Mostra tutti
Immobilismo

Quando calò il primo buio non accesi nessuna luce. A illuminarci i volti rimase il piccolo lume della sua sigaretta. Poi anche quella si...

 
 
 

Comments


bottom of page