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Grazie del silenzio

  • Immagine del redattore: Daniele Benussi
    Daniele Benussi
  • 12 set 2023
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 9 gen 2024

Racconto pubblicato sul n° 68 della rivista Ottoemezzo



Non era capitato quasi mai: rimase lì inchiodato al suo posto anche quando le luci si riaccesero in sala. 

Vide la gente alzarsi, rimettersi la giacca, uscire compiaciuta. E lui rimase lì, con gli occhi innaffiati di lacrime e un'insolita voglia di leggersi tutti i titoli di coda, di rimanere fermo, in silenzio.

Lei non disse nulla: aveva capito la delicatezza di quell'attesa, aveva capito che non bisognava macchiare quel vuoto con nessuna parola, nessuna domanda, nessuna azione. Perché "ti è piaciuto?" lo si chiede quando si ha il dubbio che quello che si è visto possa non essere piaciuto. E qui, di dubbi, non ce n'erano. 

Quando lo schermo si fece nero lui si voltò verso di lei; le appoggiò un bacio sulla testa, 

e dentro di sé continuò a sperare che lei potesse non rompere quel silenzio. La verità di un amore passa anche attraverso queste cose. 

Lei gli strinse la mano. Non parlò.

Uscirono dal cinema. Due cuori immensi, rossi, pulsanti.


- Grazie

- E di cosa?

- Del silenzio.


Sotto casa di lei si salutarono con un abbraccio. Poi lui se ne tornò a casa sua. Era stanco, ma non andò a letto. 

Riempì d’acqua un pentolino, lo mise sul fuoco e si preparò una tazza di qualcosa di caldo. Poi prese un foglio, una penna, e scrisse.


"Le otto montagne, libro e film, sono una di quelle cose di cui c'è bisogno, per ricordarci cosa voglia dire essere umani, al di là di questi aggeggi illuminati e del mito dell'infallibilità a cui ogni giorno ci inginocchiamo.

Due anni fa, su consiglio di una persona di cui mi fido particolarmente, ho letto il libro di Paolo Cognetti. È stato il libro che mi ha convinto a prendere in mano una penna e scrivere i primi racconti, qualsiasi cosa venisse fuori. Perché questa di Bruno e Pietro è una storia che insegna come voler bene. A sé stessi. E poi, a cascata, a qualsiasi altra forma di vita. Insegna soprattutto a cominciare dal proprio lato fragile, quello lì che magari per una vita hai soffocato o tenuto nascosto per paura di non apparire interessante agli altri. Insegna a (ri)partire da lì, perché è lì che sta la vera forza. Le otto montagne è l'Into the wild della maturità, di chi non ci sta dentro ma sceglie comunque di non scappare via. È una carezza appoggiata sulla testa di Chris McCandless da parte di chi probabilmente lo ha amato alla follia, così tanto da volerne ripercorrere i passi ma con un costante senso di fratellanza che Chris, nel suo viaggio disperato e letale, non era riuscito a portarsi dietro. Per capire il senso del vivere a lui era servito morire. E chissà a quanti altri. 

"La felicità è reale solo se condivisa", aveva scritto sul suo diario appena prima di morire, solo, in mezzo ai boschi dell'Alaska. Due anni di viaggio lo avevano portato a questa conclusione, e da questa conclusione parte il giro delle otto montagne, di Pietro e Bruno: chi viaggia davvero e chi non ne ha bisogno, perché sa di essere già sull'unica montagna che conta. Il viaggio in cui di tutto si può fare a meno tranne che di un paio di occhi che sanno capirti. Dentro a questo viaggio ci sono amicizia e solitudine, padri di cui si capisce qualcosa solo dopo morti, la fatica di accettarsi, i conti da fare coi propri fantasmi, la bellezza della diversità quando non diventa muro, la realtà che cambia aspetto a seconda degli occhi che si mettono a guardarla, morte e vita che non si saprà mai dove finisce una e comincia l'altra.

E il film, come il libro, ti prende il cuore e se lo cucina a fuoco lento, con pazienza, come si fa in montagna quando si decide finalmente di avere tempo, e di trovare "il modo giusto" di fare le cose. Quando tutto si risolve in se stesso, in una nuvola di silenzio che profuma di Vita"


Quando finì di scrivere era tardi. Appoggiò la penna sulla carta, sull’inchiostro delle sue parole, scritte in quel corsivo che gli ricordava tempi che non esistevano più. Ormai da anni si era anche lui piegato alla comodità della scrittura a computer: un aggeggio illuminato, sì, ma inevitabile. Eppure, fissando quella penna stesa sul foglio solcato dalla sua calligrafia, si accorse di come certe cose aveva ancora bisogno di scriverle così, coi polpastrelli stretti uno vicino all’altro, una tensione lieve nei muscoli della mano destra, e le vene di quel braccio un po più gonfie. Il graffio caldo della sua fisicità che soffiava sulle parole, corpo che si mescola all’anima. Perché di tanta vita vissuta, ancora non ne aveva conosciuta nemmeno un pezzetto che non fosse la somma indefinibile di questi due ingredienti. Corpo e anima. L’unica ricetta possibile.

Si alzò, lasciando la penna appoggiata sul foglio, illuminato dal fascio di luce di una piccola lampada che non spense. La tazza, ancora piena, aveva smesso di fumare. Prima di mettersi a dormire guardò il telefono. Lei, per la prima volta da quando si erano conosciuti, era andata a dormire senza scrivergli il messaggio della buonanotte. 

Non si erano mai amati così tanto.


 
 
 

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